DESCRIZIONE DELL'AREA DI STUDIO

 

Il comune di Comelico Superiore, posto ad un'altezza di 1210 m s.l.m., è costituito da quattro frazioni: Candide, Casamazzagno, Dosoledo e Padola.

E' un piccolo comune - conta 3000 abitanti - situato nell'omonima valle a circa 7,7 chilometri da Santo Stefano di Cadore, maggiore centro della zona, e a 76 chilometri da Belluno, capoluogo di provincia.

La vallata è caratterizzata da terreni molto fertili che permettono ai prati di spingersi a notevoli altitudini; i declivi sono morbidi e donano all'ambiente un aspetto particolare, tale da meritare alla zona l'appellativo di "verde Comelico".

La Val Comelico confina a nord-est con l'Austria e si estende a nord-ovest fino al passo di Monte Croce Comelico (m.1636) che la mette in comunicazione con la Val Pusteria. Il collegamento con le zone più a valle è garantito dalla strada statale n.52 che costeggia il Piave.

Il Comelico appartiene geograficamente alla regione dolomitica del Cadore, occupandone l'estrema zona nord-orientale; anche le sue vicende storiche sono legate a quelle del Cadore, differenziandosi solo nei primordi e per limitate vicende locali.

I primi uomini a venire in queste zone furono cacciatori del Neolitico provenienti dalle Prealpi. I primi che però si insediarono in Cadore, verso il VI sec. a.C., furono nuclei di genti venete, i Venetici, che cercavano luoghi riparati rispetto alle direttrici d'invasione dei Galli.

Tra i secoli V e IV giunsero genti celtiche.

Nel 200 a.C. i Romani intrapresero la conquista definitiva delle Alpi settentrionali. Non è però certo quando arrivarono in Cadore. Comunque, con la divisione che fece Augusto dell'Italia, il Cadore venne a far parte della provincia "Venetia et Histria" con capitale Aquileia1).

Negli anni 21l-217 d.C. i Cadorini ebbero la cittadinanza romana, nonché la latinizzazione del nome: "Catubrini".

Dopo il crollo dell'Impero, tutto il bellunese, compreso il Cadore, passò successivamente sotto gli Eruli, gli Ostrogoti, i Franchi, i Bizantini, i Longobardi e, nuovamente, i Franchi.

La conseguenza più importante delle invasioni fu l'afflusso nella regione di un gran numero di profughi dalle zone vicine. E' infatti in quest'epoca che fu occupato il Comelico: la Vallata, ancora disabitata, impervia e periferica, costituiva un sicuro rifugio e pare certo che un consistente numero di profughi fosse costituito dai Venetici (o Paleoveneti), abitanti della Pusteria, in conseguenza dell'occupazione di questa valle da parte dei Bavari (oggi Bavaresi) nel 565. I primi documenti scritti che fanno riferimento a località del Comelico risalgono soltanto agli ultimi decenni dell'ottavo secolo2). Dopo la caduta dei Carolingi (anno 888), il Cadore passò ai Marchesi del Friuli, ai Duchi di Baviera, di Carinzia e, infine, ai Patriarchi di Venezia che lo assegnarono in feudo a diversi Signori, ultimi dei quali i Conti di Camino (1135-1335). Ad un periodo di pace durante il quale il Cadore, e in particolare il Comelico data la posizione periferica, risentirono relativamente poco della situazione storica e continuarono ad amministrarsi con leggi proprie rifacentesi agli antichi Statuti, seguì il periodo della Rivoluzione francese e dell’arrivo delle truppe napoleoniche in Italia. Nel 1798 l'intero Veneto passava all'Austria. Nel 1805, a seguito di accordi, il Veneto tornò a far parte del Regno d'Italia e venne instaurato il Codice Napoleonico. Nel 1815 la regione ritorno all'Austria. Nel 1848 anche il Cadore insorse affiancandosi al governo provvisorio di Venezia. Nel 1866 si ebbe proprio in Cadore uno scontro tra asburgici e volontari cadorini. Poi ancora un intervallo di pace sino allo scoppio della Grande Guerra.

Da sempre il Comelico è stata terra di emigrazione: alla fine del secolo passato l'emigrazione era molto forte, spesso permanente, verso l'America del Nord e del Sud. Notevole era anche il numero dei lavoratori che stagionalmente si recavano in Svizzera e negli altri Stati europei. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale si è sviluppata anche l'emigrazione interna, soprattutto nelle zone industriali della Lombardia e Piemonte. Ancora oggi l'emigrazione è molto forte; nella maggior parte dei casi, soprattutto quella nei Paesi europei e nelle regioni italiane, ha carattere di temporaneità. Famiglie intere si trasferiscono all'estero ma l'obiettivo finale è quello di tornare, dopo vari anni di lavoro, nel proprio paese. L'emigrazione, spesso, non significa un taglio netto con la propria terra; frequenti sono, infatti, i ritorni stagionali soprattutto d'estate e nel periodo invernale; tra l'altro le ferie invernali vengono spesso prolungate fino al periodo carnevalesco. I guadagni del lavoro all'estero vengono investiti nel proprio paese, sia sistemando le abitazioni sovente con lo scopo di affittanza stagionale, sia per iniziare attività lavorative in loco.

Come in altre località delle Alpi, anche in Comelico le attività agro-silvo-pastorali hanno da sempre rappresentato la voce principale nell'economia locale. A causa della posizione periferica e della scarsa viabilità, l'economia del Comelico era chiusa, autarchica più di quanto fosse nelle altre zone del Cadore.

Attualmente allevamento ed agricoltura sono in crisi: il patrimonio zootecnico si è più che dimezzato e l'agricoltura, ad eccezione di poche coltivazioni, si può considerare scomparsa. Un ruolo ancora importante nell'economia locale è rivestito dall'industria del legno. Buona parte della popolazione residente è, inoltre, impiegata nell’attività edilizia e, soprattutto, nelle industrie ottiche che sorgono nella zona. causa della posizione periferica, il turismo non è decollato come in altre zone del Cadore. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta rivelando un importante elemento nell'economia locale. Nel 1951 venne istituita, per tutto il Comelico, una unica Azienda di Soggiorno e Turismo con sede a Santo Stefano di Cadore; ciò ha permesso di impostare gradatamente un organico programma di sviluppo. A questo scopo in ogni paese sono stati creati dei Comitati Turistici che, appoggiati dall'Azienda, provvedono allo sviluppo turistico, sensibilizzando la popolazione e promuovendo manifestazioni in ciascuna località. Sono proprio questi Comitati che in ogni frazione di Comelico Superiore organizzano il Carnevale. Il turismo estivo è presente in quasi tutto il Comelico: i centri più rinomati e più dotati di strutture ricettive sono, però, solo Santo Stefano di Cadore e, in misura minore, la frazione di Padola; negli altri paesi si tratta ancora, per lo più, di un turismo di ritorno. Il turismo invernale, invece, non è ancora decollato e le presenze sono concentrate quasi esclusivamente a Santo Stefano di Cadore e, per quel che riguarda il comune di Comelico Superiore, nella già citata frazione di Padola. Fuori del Comelico il turismo invernale, così come quello estivo, è molto sviluppato a Sappada; ciò costituisce un modello a cui si ispirano molti comelicesi desiderosi di trovare un'occupazione in loco. Molto sentita è, infatti, l'esigenza di una valorizzazione del proprio patrimonio ambientale, valorizzazione che comporterebbe uno sviluppo turistico tale da garantire agli abitanti la possibilità di trovare un'occupazione nel proprio paese e ridurre l'emigrazione. Molti sforzi sono stati fatti in tal senso in questi ultimi anni e molte sono le spinte stimolate anche dagli esempi di altre località alpine che hanno trovato nel turismo una importante fonte di sostentamento3). C'è solo da augurarsi che gli abitanti del Comelico riescano a contemperare le esigenze del turismo e quelle della salvaguardia del proprio ambiente. A causa dell'emigrazione e dell'adeguamento a modelli di vita diversi da quelli tradizionali, il patrimonio culturale si è andato progressivamente disgregando rimanendo vivo, però, nella memoria dei più anziani e mantenendosi attraverso singoli tratti culturali4). Da alcuni anni è in atto a Comelico Superiore un processo di rivalutazione della propria tradizione e della propria storia. Ciò ha portato ad una sensibilizzazione e ad una riscoperta del patrimonio culturale, fenomeno che può riscontrarsi in vari aspetti della vita locale. Come dimostrerò nel corso del lavoro, questo processo si riflette anche in alcuni aspetti del Carnevale che verranno sottolineati man mano nell'esposizione. Tale recupero delle proprie tradizioni rappresenta per molti, costretti dall'emigrazione a vivere a lungo lontano, il modo per ritrovare un'unità, un motivo di contatto e di identificazione con il resto degli abitanti di Comelico. E' un fenomeno che si sta sviluppando in questi anni e, accanto ai più anziani, custodi delle tradizioni ed alle persone di media età, vede impegnati anche i giovani; soprattutto quelli che, pur vivendo fuori, non hanno però mai perso completamente i contatti con il proprio paese.

Il Comelico è una vallata ladina5): nel 1873 la parlata comelicese venne classificata dal linguista Graziadio Isaia Ascoli come ladina. Benché vi siano stati dei regressi negli ultimi anni, il Comelico è ancora considerato ladino e dunque fa parte del gruppo centrale o dolomitico degli attuali dialetti ladini (Richebuono, 1981). Come è noto vi sono attualmente tre zone in cui si parla ladino e tali zone sono: quella occidentale o svizzera, quella centrale o dolomitica e quella orientale o friulana6). Il Cadore e il Comelico rappresentano un ponte naturale tra il ladino dolomitico ed il ladino della zona friulana. Il Comelico, insieme al Cadore, è considerato da alcuni autori (Sabbatini, 1976) un'anfizona, cioè una zona in cui il ladino originale è stato fortemente influenzato da altri dialetti, in questo caso il veneto. Alcuni studiosi (Pellegrini, 1977) ritengono il dialetto di Comelico, e più in generale tutte le parlate cadorine, come ladine a pieno titolo. Non mi risulta che nella zona esistano Istituti culturali o Associazioni che si propongono la tutela e il riconoscimento ufficiale della lingua ladina in Comelico. E' presente comunque un certo fermento e, soprattutto alcune persone, sulla spinta anche di movimenti simili in altre località, cercano di sensibilizzare l'opinione pubblica, promuovendo dibattiti e portando a conoscenza opere in ladino e sul ladino di Comelico. Questo interesse per il proprio idioma è collegato al più generale processo di rivalutazione del patrimonio culturale di cui ho detto più sopra.

 

NOTE

 

1)  I Romani divisero le Alpi in varie province: la provincia "Venetia et Histria", con capitale Aquileia, comprendeva anche il Friuli, il Cadore e l'Alto Adige fino a Bolzano e Merano; la provincia "Raetia Prima", con capitale Curia (oggi Chur), comprendeva anche la Svizzera e la Val Venosta sopra Merano; la provincia "Noricum", con capitale Virinum, comprendeva gran parte dell'Austria attuale e, dell'Alto Adige, la zona ad est dell'Isarco con la Val Pusteria (Richebuono,1981).

2)  In un diploma dell'anno 965 viene nominata la "Valdomenega" ed in uno di qualche anno più tardi e nominata la "Valcum Munega". Questi nomi sono considerati dagli studiosi determinativi della stessa località. Il secondo termine risulta particolarmente interessante in quanto propone l'etimologia del nome Comelico. La prima componente è Val, radice di Valle, cioè valico luogo di passaggio. La seconda componente è "...cum Munega" che risulta una corruzione del participio latino "communicans" cioè comunicante. Quindi Valcum Munega indica Valle comunicante, ossia confinante con la Pusteria e la Carinzia, nonché con le altre Alpi cadorine. Questo participio dunque si riferiva alla posizione geografica del Comelico rispetto alle altre valli alpine e su di esso fu poi foggiato, con diverse modificazioni, il termine Comelico (Fontana, 1980:47-48).

3)  Alcuni elementi della popolazione locale sono favorevoli ad un rapido sviluppo turistico della zona con costruzione di impianti sciistici di risalita. Altri, pur desiderando un tale sviluppo, sono più restii ad una indiscriminata costruzione di impianti sportivi preoccupati delle conseguenze che potrebbe avere sull'ambiente. Nel Carnevale 1985 a Candide un carro preparato da elementi favorevoli alla costruzione di impianti sciistici presentava l'argomento come un'alternativa tra l'emigrazione e la possibilità di trovare lavoro nella zona. Vedi III.1.2.

4)  Un esempio è la tradizione carnevalesca che, pur subendo trasformazioni - le quali più che indicare un fenomeno di degrado dimostrano il rapporto vivo che esiste tra questa struttura e i locali - si è mantenuta con forme fondamentalmente tradizionali.

5)  Come è noto il ladino è la lingua che si e formata a seguito della romanizzazione delle Alpi. Nel 1873 il linguista Graziadio Isaia Ascoli riconobbe il ladino come lingua "neo-latina".

6)  Attraverso i secoli la vasta zona ladina si è ristretta e tale fenomeno continua ancora oggi. A nord delle Alpi il ladino fu scalzato dalle lingue germaniche; a sud dai dialetti alto italici, conservandosi nelle zone più interne.